Episodio breve [15]: A volte ritornano.

So che è passato del tempo dall’ultima volta che ho scritto qui e la verità è che non mi sento neanche in colpa perché evidentemente non avevo lo stesso “bisogno” che avevo prima e quindi, perché scrivere se non si ha niente di interessante da dire? Evidentemente questo concetto Paulo Coelho ancora non l’ha capito e manco Moccia. Vabbè amici, prima o poi gli verrà anche a loro l’illuminazione. Oltre alla mancanza di materiale creativo mi sono ritrovata nel mezzo del traffico, ovviamente in senso figurato perché ancora non ho la patente (e sì, ho più di 18 anni); un traffico emotivo, rumore di emozioni contrastanti, annebbianti, impossibili da ignorare. Non mi era mai successo niente di simile e all’inizio ho anche avuto timore di non riuscire a “sovrastare” questo rumore con la mia propria voce. In parole semplici: non riuscivo ad impormi sulle mie emozioni, non riuscivo a controllarle e nemmeno a metterle in qualche modo “in ordine”. Ho sempre avuto il controllo su tutto, perché se hai progetti nella vita bisogna organizzarsi prima, si deve programmare ogni singolo tassello altrimenti niente riesce come dovrebbe o come vorresti; sono così, non so se sia per l’ansia pressante o perché ho manie di controllo, però fino ad ora ha funzionato. Più o meno. Adesso sono ancora bloccata nel traffico, ma non mi interessa. Non voglio alzarmi e urlare a squarciagola per farmi sentire, non voglio impormi o controllare nulla perché per una volta voglio vivere così. Lascio che il traffico si “sbrogli” da solo e voglio stare seduta in macchina ad ascoltare i clacson assordanti delle mie emozioni. Detto in parole povere? Mi sono innamorata.

Lasciamo questo discorso per un pensiero che ho avuto mentre il sole splendeva nel cielo azzurro, qui a Barcellona. A volte, quando la memoria vaga nelle zone recondite della vita, mi lascio trasportare dall’idea di una dimensione parallela in cui sono rimasta nel mio paesello in provincia di Brescia, nella la mia casa d’infanzia in mezzo ai vigneti e al niente. Ancora con il mio giardino, con il portico delle feste estive e delle chiacchiere notturne, con i miei cani, i coniglietti selvatici che ogni tanto facevano capolino nei cespugli, i peschi, i pomodori, l’erba appena tagliata il sabato mattina, la rugiada, le pigne (da piccola pensavo fossero le case degli elfi), i tre cipressi, l’ulivo. Ricordi tristi e felici infestano quella casa, come spiriti di leggende urbane. Me l’hanno strappata via, ho visto il mio piccolo mondo sicuro disgregarsi, non sono nemmeno riuscita a dirle addio perché l’Australia chiamava e il mio cuore palpitava già per luoghi lontani e sconosciuti. Ma questo episodio, questo pensiero partorito ovviamente in metro, non riguarda la mia casa, ma la vita per sé che ho lasciato lì. Ci ho vissuto fino ai miei 16 anni compiuti e praticamente è stata testimone di amicizie perdute, rinnovate e perdute di nuovo, di un amore adolescenziale e di mille pensieri, mille discorsi che riempivano le stanze e rimbombavano fra i muri. “Mamma, ma perché non riesco ad avere tanti amici come le altre?”, “Mamma perché il ragazzo X preferisce lei a me?” Sono domande stupide, ma che all’età di 11 fino ai 14 anni si sa che l’unica guida del corpo è l’ormone impazzito. Il fatto è che in me non c’è mai stato niente di sbagliato, si trattava solo del “posto”, quello era sbagliato. Non riuscivo a inserirmi con gli altri perché non avevo il loro stesso carattere, io rispondevo, io ero volgare, io ero “strana”, stravagante nella maniera di pensare e di vestirmi. Non piacevo ai ragazzini perché a momenti avevo più testosterone di loro e perché ovviamente le ragazze dal carattere forte fanno paura e quindi niente. All’età, ci soffrivo per queste idiozie e ci avrei sofferto ancora se fossi rimasta lì; quindi questo episodio è per tutte le ragazze come me che sono sempre state scartate per bambole gonfiabili, per tutte le ragazze che si sentono destinate ad altro e si chiedono se sia tutto lì quello che ha la vita da offrire, se sarete per sempre considerate come “quella strana” o “quella diversa” e ve lo dico io: NO! Andatevene via, lontano, andate in posti talmente grandi dove la parola “speciale” non vi si addice più, andate dove la vostra personalità viene considerata più delle vostre tette. Andate in un posto dove, in un qualsiasi momento di una giornata soleggiata, in metro, vi sorprendete a pensare a quelle domande inutili e a quelle sofferenze inflitte da persone che rimarranno per sempre in quel paesello. Detto con il cuore, ANDATEVENE VIA.

 

Fine episodio breve [15]

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