Vivo in una zona piuttosto trafficata di Barcellona. Mi affaccio al balcone e sotto di me scorrono fiumi di luci veloci. La brezza fresca e umida che viene direttamente dal mare è una risata lontana che lascia scintille salate sulle labbra; come baci fugaci, come graffi di piacere. Sta arrivando l’estate, non ho più bisogno di coprirmi per uscire in terrazza, a maniche corte respiro i sospiri del vento fra gli alberi. Barcelona che sbadiglia e si spoglia per coricarsi mentre sul pavimento lascia i vestiti consunti di un’atra giornata frenetica. Copre le sue nudità con le onde del mare e con le strade che cominciano a svuotarsi. E prima spegne i lampioni, poi spegne le luci nelle case degli altri. Dà l’ultima buonanotte e lascia che i non dormienti la accompagnino durante il sonno leggero, mentre pulisce il cielo dalle nuvole per prepararsi alla mattinata seguente.
Ultimamente penso spesso a come sarebbe stato. Cosa sarebbe successo se avessi preso altre decisioni nella mia vita, se avessi seguito persone che avrei voluto seguire, se avessi ascoltato la ragione invece che il cuore. Se fossi stata meno intrepida e avessi avuto un minimo di paura. Tutte le strade che ho intrapreso senza mai ragionarci troppo e ora mi ritrovo con lo sguardo perso a chiedermi se avessi dovuto pormi qualche domanda o qualche dubbio in più. Adesso dove sarei? Adesso come sarei? E con chi? E come e perché. Una volta ho letto da qualche parte che tendiamo sempre a pensare che le scelte non fatte, lasciate da parte per altre in un determinato momento della nostra vita, fossero migliori. E ci soffermiamo ad annaffiare speranze piantate in vasi di fantasie e dimensioni parallele in cui saremmo stati più felici e appagati. E continuiamo a versare, settimana dopo settimana, fino a oltrepassare generosamente l’orlo immaginario e lasciar sgorgare questa cascata di “come sarebbe stato” senza veder crescere nulla. Lasciamo che inondi e inzuppi tutto quello che abbiamo costruito fino adesso: i risultati ottenuti attraverso le decisioni preferite ad altre, le emozioni scoperte e riscoperte, tutta una vita vissuta tra alti e bassi; su una tavola da paddlesurf a sentire le carezze lente del mare sballottarci leggermente. Su questa tavola, con il calore che arrossa e incendia le guance, che le abbraccia fino a sgretolarle, ci chiediamo “come sarebbe stato” senza accorgerci che il sole ha sbiadito i capelli di felicità e ci ha punteggiato il viso d’amore.
Se fossi rimasta, se fossi partita, se fossi andata a vivere in Inghilterra, se avessi iniziato l’università a Edimburgo, a Milano, a Bologna, se avessi fatto le pratiche per l’erasmus a Roma; se avessi scelto il cuore, se avessi scelto di fermarmi a ragionare un po’. Mentre inalo boccate amare, con la stessa brezza dal sapore estivo che volteggia contenta tra i miei capelli, penso a un’altra dimensione, spogliata di quella bellezza ideale con cui si assaggiano le aspettative irrealistiche e le occasioni perse. È un gioco della mente di cui mi piace l’inganno e la finzione. Quel sottile filo che divide un’ipotesi da una possibile realtà perché tutto quello che serve è a uno schiocco di dita, un semplice: “basta, lo faccio.” Una frase dalle potenzialità taglienti, più volte ho versato gocce di sangue su candide speranze. M’inganno introducendomi in questa dimensione lontana e fittizia in cui parto per la Nuova Zelanda, senza progetti. Magari allestisco un poke- shop o un hamburgueria sulla spiaggia, oppure un negozio di camicie di flanella in città. In tutto questo sono accompagnata da un lui cui destino ha deciso di intrecciare brevemente con il mio; un incontro fortuito, un incrocio di cammino, un abbraccio di coscienze, il forte desiderio di continuare insieme per strade separate. Siamo due linee che convergono, s’incrociano e “perché non ti ho conosciuto prima?”. Questo è il problema e da qui nascono tutti i miei dubbi, il seme che annaffio ogni giorno, ma due rette parallele s’incontrano solo all’infinito; in un’altra dimensione ci saremmo amati.
Annerita dal sole, con i capelli di un biondo bruciato, su una tavola da paddlesurf in mezzo all’oceano, la pancia ripiena di riso e salmone di una poke, la testa apparentemente vuota da problemi o programmi. I movimenti lenti della tavola che accarezza la superficie, il silenzio di una giornata di sole mentre penso a come sarebbe stato se fossi rimasta a Barcellona.
Fine episodio breve [31].
Questo mese il blog “Episodi (abbastanza) brevi”, letture da mezzi di trasporto, compie due anni di attività. Sono molto contenta dei miei piccoli risultati e ringrazio tutti calorosamente per avermi accompagnato (e spero che continuiate ad accompagnarmi) nell’ “inizio” di un sogno immenso. Da qualche parte si deve pur sempre iniziare!
Grazie ancora di cuore.
Em2ma